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Il telecinema

Fare telecinema di film 8 mm e super 8

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8 mm

Restaurare film 8 mm: le impostazioni per correggere i segni del tempo

La professionalità con cui si restaurano i film 8 mm e super 8 fa la differenza tra il:

  • buttare i propri ricordi,
  • conservare (e tramandare) qualcosa che, se andasse persa, non sarebbe mai più recuperabile.

Ecco perché tra i laboratori che effettuano la digitalizzazione delle pellicole esistono:

  • servizi che lavorano a prezzi di saldo, in cui il presunto restauro si limita a riprendere con lo smartphone il quadro sul muro illuminato dal proiettore (procedura che oltre a ottenere una qualità d’immagine scarsa rischia anche di rovinare irrimediabilmente il supporto).
  • servizi professionali, portati avanti da persone che sanno quello che fanno e che hanno a cuore l’importanza della storia immortalata nelle pellicole 8 mm.

Questo è uno dei tanti lavori che ho effettuato e che è stato girato nel 1958 (pubblicato in questo sito con l’autorizzazione del legittimo proprietario).

Giudicate voi a quale delle due categorie appartiene il mio laboratorio.

Consigli approfonditi per il restauro (solo per gente molto appassionata)

Non tutti hanno:

  • voglia,
  • tempo

di imparare a restaurare i film 8 mm e super 8. Guardando al mio laboratorio, avendo uno scanner di acquisizione molto costoso, se qualcuno volesse ottenere la stessa qualità di restauro, dovrebbe anche investire migliaia di euro per comprare le apparecchiature.

Premesso questo però, per chi volesse procedere con le proprie forze, mi permetto di condividere dei consigli sulle diverse fasi della lavorazione che trasformano una pellicola analogica segnata dal tempo in un file digitale restaurato.

L’esposizione

Per quanto riguarda l’esposizione delle singoli immagini è prassi acquisire i film sottoesponendoli leggermente, perché la quantità di bit colore dei file jpg che elabora uno scanner professionale è molto alta, quindi, in fase di montaggio, la luminosità si può aumentare senza ripercussioni sulla qualità del video finale (se il film è in buono stato di conservazione ed è stato girato con una tecnica accettabile).

Adottando questa soluzione, l’ideale è intervenire poi sul filmato restaurato con un qualsiasi software di editing (DaVinci Studio, Final Cut, Adobe Premiere,), aumentando la luminosità, perché la procedura corretta che anch’io uso per i video della mia collezione (pubblicata su footageforpro.com) con la quale ho fornito produzioni andate in onda sulla BBC, su Netflix e su Prime Video, è ottenere prima un’immagine un po’ scura, per poi correggere durante il montaggio.

Si procede in questo modo perché se lo scanner fosse impostato con l’esposizione automatica, al cambio di scena si verificherebbe un fastidioso effetto di sovraesposizione (fino allo stabilizzarsi del sensore).

Se invece lo scanner fosse impostato in manuale, ma con un’esposizione maggiore, le immagini che in ripresa sono state, anche solo leggermente sovraesposte, cosa che accadeva frequentemente con i film 8 mm e super 8, a differenza di quelle sottoesposte sarebbero molto meno recuperabili durante il restauro.

I software per restaurare i film (consigli pratici per veri appassionati)

Il mio restauro dei film 8 mm e super 8 si svolge in questo modo.

  1. Acquisisco la pellicola fotogramma per fotogramma con il mio scanner (il FilmFabriek HDS+).
  2. Con il programma DaVinci Studio correggo i colori, la luminosità, la grana e altre imperfezioni che sono presenti.

DaVinci Studio è un programma professionale e richiede molta esperienza per produrre buoni risultati. Dopo aver lavorato a migliaia di film, sia del mio archivio personale (lo potete vedere nel mio Canale YouTube), sia delle centinaia di clienti che si sono rivolti a me, oggi sono perfettamente in grado di togliere la gran parte dei segni del tempo che si accumulano su pellicole che, magari, hanno 50/60 anni, o anche più:

  • togliendo i puntini neri e i graffi (grazie al plug in Neat Video)
  • modificando livelli, luminosità, contrasto, saturazione e tutti i valori dell’immagine che il tempo ha fatto deteriorare.

Ci sono delle alternative a DaVinci Studio. Alcune efficaci ma ancora più complicate, come VirtualDubMod, un software Open Source che richiede una certa esperienza di programmazione per essere utilizzato e non ha un servizio di assistenza. Altre più semplici, ma non altrettanto precise, visto che ogni programma di montaggio, anche amatoriale (Pinnacle Studio, Movie Maker, Moravi Video Editor), ha funzioni di correzione basilari.

Una volta deciso il software, la vera sfida è impostarlo nel miglior modo possibile. Ciò richiede tanto studio e tanta passione, se si vogliono ottenere buoni risultati.

Il peso dei file che si esportano

La dimensione dei file video che si ottengono dal restauro, dipende da:

  • formato
  • risoluzione
  • codec

che si impostano in fase di esportazione.

Se, per esempio, si vuole il Full HD, 1920×1080, per apprezzarlo non ci si deve limitare ad esportare a quella risoluzione, ma bisogna lavorare in tutte le fasi precedenti con la stessa, e bisogna farlo con cognizione di causa. Non serve, infatti, essere perfezionisti quando il perfezionismo è inutile. Per esempio, la sequenza di fotogrammi che crea il mio scanner può essere indifferentemente:

  • jpg (compressa)
  • tiff (non compressa)

ma, da diverse prove che ho effettuato, posso dire che la differenza di qualità, di fatto, non è visibile. Quindi attenzione.

Le fasi del restauro

Dopo aver acquisito, importo le sequenze di fotogrammi in DaVinci Studio e le divido nelle diverse inquadrature. Su queste applico una prima correzione generica e poi passo gli spezzoni uno ad uno impostando, eventualmente, delle correzioni su misura. Una volta terminato il restauro, esporto il filmato in:

  • un formato
  • una compressione (codec)

compatibile con tutti i computer e tutti i televisori, ovvero:

  • .mov,
  • codec H.264

Lo stesso filmato può essere anche importato da chi lo riceve in un software di montaggio, così da inserire musiche, titoli ed eventualmente togliere gli spezzoni indesiderati.

I file .mov, codec H.264 possono avere diversi livelli di compressione che determinano la loro dimensione finale. In linea di massima, un filmato di mezz’ora pesa circa 2 Gb, e un filmato di 3/4 minuti, che corrisponde alle bobine da 7,5 cm di diametro, pesa circa 300 Mb.

Una Laurea di fine anni ’60

Qui sotto potete vedere un film girato nel 1968 nel formato 8 mm (quello di qualità minore rispetto al super 8).

Mostra le immagini di una cerimonia di Laurea. Il video è indicativo della qualità media che si può ottenere digitalizzando professionalmente i filmati amatoriali d’epoca, visto che non è impeccabile dal punto di vista della tecnica di ripresa ed è girato in parte in un interno dove, essendoci poca luce, a causa della scarsa sensibilità delle pellicole del tempo l’immagine tende a sgranare.

In fase di restauro, se però si sa come intervenire e si ha un’ottima attrezzatura, si possono ugualmente ottenere questi risultati (se non fosse per l’eleganza dell’epoca sembrerebbe registrato ieri):

Per giungere a una qualità del genere non esistono formule miracolose, c’è solo:

  1. lo studio della tecnica
  2. decine di migliaia di euro di investimenti
  3. tantissima passione

Come ogni filmato pubblicato in questo sito ho l’autorizzazione scritta datami da chi ha girato per pubblicare il video.

Gli scanner per pellicola 8 mm e super 8 economici

Gli scanner per film 8 mm e super 8 di buon livello partono tutti da almeno 10 mila euro. Quindi non ha nessun senso per una collezione che si acquisisce una volta per tutte in qualche giorno di lavoro, acquistarne uno.

Il modello più economico per ottenere buona qualità è il MovieStuff Retro Universal che trovate illustrato in questa pagina direttamente dal produttore.

Poi ci sono gli scanner ultra professionali come il mio, il FilmFabriek HDS+, o altri prodotti, come l’MWA Flashscan o il Blackmagic Cintel, che costano decine di migliaia di euro, ma li valgono tutti se si cerca la qualità.

Di tutt’altra categoria sono invece iprodotti molto economici, come il:

  • Reflecta Film Scanner Super 8 – Normal 8

che su Amazon costa intorno ai 400 euro e di cui esistono versioni identiche di altre marche (Film2Digital, Somikon…). O il:

  • Reflecta Super 8 Scanner

che si fa fatica a trovare ancora sul mercato, perché è un modello di qualche anno fa, e che costa intorno ai 1000 euro.

Ho feedback diretto solo sul secondo modello, perché ce l’ha un amico, e posso garantire che non ne vale la pena.

I fotogrammi al secondo: differenze tra ieri e oggi

Fatto salvo per i rarissimi film 8 mm e super 8 girati in cinemascope, la differenza estetica che subito salta agli occhi tra un film amatoriale dello scorso secolo e un video odierno è il formato dello schermo.

I film 8 mm e super 8 erano infatti in formato 4/3, mentre i moderni video delle videocamere e degli smartphone sono in formato 16/9. I primi quindi, su un moderno televisore, si vedono con le bande nere verticali.

Nonostante l’apparenza, però, c’è un’ulteriore differenza tra i filmati di ieri e quelli di oggi, ed è ben più complicata da adattare ai moderni televisori/smartphone/computer: il numero di fotogrammi al secondo, che una volta erano 16 (film 8 mm) o 18 (film super 8) e oggi sono 25.

In questa pagina spiego tutto in maniera approfondita, e in quest’altra, per chi ha voglia di applicarsi, spiego come ottenere i migliori risultati nella conversione usando Adobe After Effects.

Faccio notare che nessuno dei laboratori che effettua digitalizzazioni di pellicola nomina tale questione. Ciò è esemplificativo del loro livello di serietà.

Adattare il numero di fotogrammi al secondo con il blending

Adattare il numero di fotogrammi al secondo che:

  • nei film 8 mm erano 16
  • nei film super erano 18
  • oggi sono 25

è possibile in diversi modi. Quello più facile, ma il peggiore dal punto di vista qualitativo, è ripetere (circa) un fotogramma ogni tre. In tal modo si sacrifica la fluidità dei soggetti e il filmato appare scattoso.

I moderni software di restauro consentono di utilizzare un metodo più efficace, ma non privo di difetti, ovvero creare una dissolvenza incrociata tra fotogrammi adiacenti. Quest’ultima tecnica si chiama blending ed è quello usata di solito dai laboratori più seri, compreso il mio, perché è il compromesso migliore.

L’intelligenza artificiale e l’interpolazione

Da un po’ di anni a questa parte, però, la tecnologia ha inventato qualcosa di straordinario, ovvero una tecnica di restauro definita interpolazione (interpolation o sampling in inglese): ricreare i fotogrammi mancanti via software grazie all’intelligenza artificiale che li calcola.

Io ho usato questo sistema con le migliaia di bobine della mia collezione privata che pubblico sul mio canale YouTube e su un altro mio sito. Attraverso l’interpolazione si  trasformano i 18 o 16 fotogrammi al secondo in 25, creando 25 fotogrammi uno diverso dall’altro, senza quindi ripetere quelli esistenti.

Si tratta di una elaborazione molto dispendiosa a livello di tempo che richiede anche un intervento manuale di un’operatore esperto:

  1. quando il computer non è in grado di calcolare perfettamente i fotogrammi e quindi bisogna tagliare qualche scena (di solito l’1 o 2% del totale)
  2. ad ogni cambio di inquadratura, quando si crea un fotogramma che fonde l’ultimo della scena precedente con il primo della successiva.

Molto meglio delle mie parole la differenza tra blending e interpolazione la spiega questo video che ho restaurato personalmente:

Siamo a Catania nel 1966 a un torneo di tennis al quale partecipa, tra gli altri, Nicola Pietrangeli. Il filmato è stato girato in 8 mm da Corrado Randone che mi ha autorizzato a distribuire la sua splendida collezione di pellicole che raccontano la Sicilia degli anni ’60.

Nel video qui sopra si apprezzano le differenze tra i due diversi metodi di restauro, con questa scaletta:

  • da 0 a 1’45”: il filmato restaurato con la tecnica dell’interpolazione
  • da 1’46” a 3’32”: il filmato restaurato con la tecnica del blending
  • da 3’33 a 5’18”: due finestre che mostrano contemporaneamente il filmato restaurato con le due differenti tecniche
  • da 5’19” alla fine: i due filmati comparati a rallentatore

Oggettivamente il filmato interpolato è il migliore nel 99% del girato. Usare il blending per adattare il numero di fotogrammi al secondo significa avere un’immagine che presenta un’effetto sfuocato/mosso sui soggetti in movimento.

Quello che fa impressione è che l’intelligenza artificiale, che è il cervello alla base dei calcoli sull’interpolazione, ricrea dei fotogrammi perfettamente credibili con una precisione che, chi come me ha seguito le evoluzioni di tale tecnica lo sa, anche solo un paio d’anni fa era impensabile.

Questo grazie:

  • al software Davinci Studio
  • alla funzione Optical Flow – Speed Warp

e a un’operatore che ha studiato il metodo e ha decine di ore di pratica.

Artefatti dovuti all'interpolazione dei fotogrammi in un film 8 mm

L’unica controindicazione, a parte i tempi di rendering e l’esperienza necessaria per ottenere il miglior risultato possibile, è, appunto, che in una piccola quantità di girato si creano degli artefatti che rovinano la scena, come quando a 28 secondi si vede il giocatore di tennis passare dietro alla sedia dell’arbitro.

Una qualità così scadente, seppur in un frangente temporale così limitato, a mio avviso non è accettabile e da operatore software non posso prendermi la responsabilità di decidere per un taglio, perché il filmato non è mio. Ecco perché continuo a restaurare i film di chi si affida al mio laboratorio usando il blending.

Conclusioni

Non esiste tecnologia attuale e futura in grado di ricreare un film amatoriale su pellicola una volta che questo è stato buttato, e nemmeno di recuperare la qualità di un film che è stato acquisito con metodi poco professionali.

In tanti anni di lavoro mi è capitato tante volte di parlare con clienti a cui avevo restaurato alcuni loro film e che dopo aver visto il risultato da me ottenuto mi avevano chiesto di intervenire anche su pellicole che avevano buttato e di cui conservavano solo il file digitale precedentemente digitalizzato da laboratori poco seri. La delusione che ricevono quando scoprono che non si può fare più nulla è la più grande pubblicità che posso fare al mio laboratorio.

Se la pellicola è stata cestinata, non esiste (e non esisterà mai) una tecnologia in grado di recuperare un acquisizione fatta male.

Fino a 20 anni fa, meno di una famiglia su 100 aveva una cinepresa in casa. Chi ha avuto la fortuna di essere stato ripreso in un’epoca in cui i film amatoriali erano per pochi dovrebbe pensarci due volte prima di affidare i propri ricordi a servizi di digitalizzazione non all’altezza della situazione.

Daniele Carrer

Daniele Carrer di fronte al suo scanner per il telecinema e al computer durante la fase di restauro dei film

Chiunque sia interessato a digitalizzare i suoi film 8 mm e super 8, muti o sonori, con il mio telecinema può contattarmi usando il modulo qui sotto:

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    Messaggio (obbligatorio)

    I miei film amatoriali come le fotografie di Vivian Maier

    Se l’uomo che comprò quasi per caso le foto di Vivian Maier non avesse messo in piedi un business su queste, l’Umanità non avrebbe mai conosciuto la storia immortalata in quelle immagini.

    Se non avesse trovato degli investitori che gli hanno permesso di produrre un documentario costato centinaia di migliaia di dollari, oggi Vivan Maier sarebbe un titoletto sulla rubrica culturale di qualche giornalino di Paese, e non una delle fotografe più famose della storia, come testimoniano le 60 mila persone che ogni mese la cercano su Google (tante quante cercano Henry Cartier-Bresson ed Helmut Newton).

    Come Vivian Maier, ma con i film amatoriali

    Nel 2013 ho iniziato ad acquistare su Ebay film amatoriali 8 mm, super 8 e 16 mm, i formati che furono utilizzati dagli anni 30 agli anni 90 del 900 per le riprese in ambito famigliare.

    Quei supporti, a differenza di quelli che li hanno sostituiti, VHS  e video 8, non sono soggetti a forte deperimento, ma hanno il grosso difetto di essere fruibili solo grazie a dei proiettori che sono fuori produzione da decenni. Anche nel caso se ne trovasse uno questo è parecchio scomodo perché è rumoroso, necessita di un telo ingombrante per la visualizzazione e funziona con lampade che vanno sostituite dopo poche ore.

    In questo contesto, il dramma è che quando l’autore che li aveva creati muore, quei film finiscono in discarica, perché gli eredi, non sapendo come guardarli, pensano che non esistano più apparecchiature in grado di riprodurli. Così facendo va persa per sempre anche la storia che racchiudono.

    Il filmato qui sopra, per esempio, è stato girato a Milano nel 1971 e ritrae il laghetto del Parco Lambro poco prima che sparisse (ho trovato anche riprese dello stesso luogo l’anno successivo, quando oramai il laghetto non c’era più).

    Il punto di vista del regista amatoriale che ha fatto le riprese, che in questo caso si chiama Carlo Casu e con il quale mi sono accordato per distribuire una parte dei suoi film, è quello del frequentatore di quei luoghi in quell’epoca, che è ben diverso da quello del documentarista professionale che necessariamente ritraeva invece una realtà costruita.

    Sapere che questi pezzi di storia film finiscono molto spesso nella spazzatura mi fa venire i brividi, ma purtroppo accade nel 90% dei casi, soprattutto in Italia dove il lavoro dello svuota-cantine non è particolarmente comune come in altri Paesi.

    Negli USA, per esempio, esiste la tradizione delle estate sale, grazie alle quali è stata salvata anche la collezione di Vivian Maier, acquistata per 380 dollari da John Maloof (la storia la trovate su Wikipedia). Si tratta di aste che vengono organizzate con il patrimonio di alcune persone, perché queste sono appena decedute o per altri motivi (Vivian Maier non pagava l’affitto).

    In Germania e in Francia si ottengono buoni risultati di salvataggio di materiale di valore storico grazie agli svuotacantine che, anche da noi ci sono, ma non hanno la stessa sensibilità dei loro colleghi d’oltralpe, vista la scarsa quantità di film amatoriali che, lo certifico, si riescono a trovare su Ebay Italia.

    Anche per questi motivi la mia collezione proviene soprattutto dall’estero.

    Una storia che può andare persa per sempre

    Se si considera che fino al 1975 da noi c’erano solo due canali televisivi, è facile capire che tutto ciò che non è Roma, Milano e poche altre città, è stato immortalato nei 40 anni precedenti a quella data solo dalle pellicole amatoriali, che raccontano una storia che, se finisce nella spazzatura, sparisce per sempre.

    In questo presupposto sono intervenuto io con un progetto che, oltre alla salvaguardia delle pellicole, prevede anche la pubblicazione di queste su YouTube che, ricordo, non è più un progetto per pochi, ma è visto ogni mese dalla metà degli Italiani (molto più della gran parte dei Canali televisivi).

    Questi sono i numeri raggiunti dal mio canale YouTube dopo anni di lavoro:

    Statistiche di visualizzazione di filmati storici 8mm e super 8 su YouTube

    Nel presupposto che i video esistono solo se la gente li vede, perché rinchiuderli in un caveau a temperatura controllata è sicuramente meglio di portarli in discarica, ma se questi non vengono resi pubblici la storia che custodiscono non contribuisce al benessere culturale del mondo, ho lavorato perché questi potessero essere accessibili al pubblico più grande possibile.

    Oggi sono visti 600 mila volte al mese. Vale a dire che la collezione costruita solo con le forze di un Cittadino che non ha chiesto un euro di contributi pubblici ha un audience superiore a quella di una prima serata di La7 o Rete 4 e, a differenza di queste (non me ne vogliano), i valori culturali messi in campo sono decisamente più nobili.

    Il business che ho dovuto mettere in piedi

    Non essendo ricco di famiglia avevo due possibilità per portare avanti il mio progetto: pellegrinare per gli assessorati alla cultura di mezza Italia perdendo mesi tra complimenti di facciata e tanti le faremo sapere, o fare da solo e monetizzare la collezione, reinvestendo tutto quello che ricavavo.

    Per mia fortuna, dal 2006 sono diventato un discreto produttore di stock footage, ovvero di spezzoni di video che alcune agenzie online vendono a pubblicitari e documentaristi (lo spiego molto più approfonditamente in questa pagina in un altro mio sito). Il passaggio dai contenuti contemporanei a quelli storici è stato quindi naturale per me.

    Quello che ho fatto non è alla portata di tutti. Ogni tanto qualche ricercatore universitario mi contatta dopo aver visitato il mio canale Youtube, con la speranza di poter lanciare un progetto simile al mio. La mia risposta, senza giri di parole, è che non può riuscirci, perché anche se trovasse un milione di euro di finanziamenti, in un contesto controllato dallo Stato, sarebbe come sperare che in qualche eccellenza accademica nasca un motore di ricerca che faccia concorrenza a Google.

    Il vero ostacolo, cioè creare delle procedure di lavoro efficienti, non è superabile in un contesto dove le decisioni, essendo condivise, non possono essere prese velocemente. Trasformare quelle che su Ebay sono delle inserzioni anonime, dove al massimo si vede la bobina ma non il contenuto di questa, in dei filmati utilizzabili dalle produzioni televisive e documentaristiche di tutto il mondo non è un’impresa per tutti, perché richiede cultura storica, conoscenza del supporto di registrazione, capacità tecnica di montaggio, esperienza nel settore dello stock footage e decisionismo, caratteristiche che difficilmente risiedono in una sola persona.

    Creare una macchina produttiva che funziona significa, oltre che evitare di perdere tempo elemosinando soldi pubblici, dover fare quello che uno storico non farebbe mai, ovvero buttare quello che non serve. In molti anni di lavoro come montatore professionista, ho ottimizzato questa mia caratteristica: saper tirar fuori la parte più interessante delle cose. Dando, attraverso questa selezione, maggiore forza a quello che rimane, ad un prezzo intollerabile per un uomo di cultura: condannare all’oblio eterno quello che resta fuori.

    I film si acquistano sempre nella speranza che in questi siano immortalate le Torri Gemelle, il ritiro della Nazionale Italiana nel 1970 dopo il 4 a 3 con la Germania (come nel filmato qui sopra) o i Beatles che suonano ad Amburgo nel 1961 (quest’ultima è l’unica delle tre cose non mi è ancora riuscita). In realtà questi sono pieni di cene di Natale, compleanni o picnic in mezzo alla natura, eventi che hanno un valore storico, ma dai quali è molto difficile trarne un vantaggio commerciale, senza il quale la mia collezione imploderebbe domani.

    In quei casi il modo migliore per agire è guardarli in un minuto e, anche nella consapevolezza che senza il mio intervento quel pezzo di storia non esisterà più, avere la forza di volontà di fermarsi e rimettere in vendita quello stesso film su Ebay, consci che a quel punto il destino migliore che gli possa capitare è entrare a far parte dei trofei di qualche collezionista che se lo guarderà in solitaria una volta e poi lo riporrà su uno scaffale.

    Mettere in piedi un sito che vende film storici

    Mentre guardavo Alla ricerca di Vivian Maier, da ex uomo di televisione ero colpito, oltre che dalla magnifica storia della fotografa, anche dallo sforzo produttivo messo in piedi.

    Uno dei problemi che più mi spaventa dell’Italia è il rapporto che c’è tra politica e cultura. Questo dà per scontato che la prima finanzi la seconda, cosa che è sempre vincolata all’interesse di chi quella politica la porta avanti di ricevere un tornaconto carrieristico derivante dall’assegnazione dei fondi pubblici. Tale interesse non coincide quasi mai con la ricerca del benessere culturale della collettività.

    Grazie alla pubblicazione delle foto di Vivian Maier il mondo è un posto migliore. In maniera minore, è migliore anche grazie ai film storici che ho salvato dalla discarica, perché le persone che li guardano sono messe nelle condizioni di osservare la vita reale di tanti anni fa senza i filtri dei documentari istituzionali di quel periodo, avendo così un elemento in più per maturare un’opinione sulle differenze con quello che accade oggi.

    Tutto questo nè stato ottenuto dando al mio progetto una dimensione di business, come ha fatto il proprietario della collezione di Vivian Maier. Alla fine questo modo di operare ha permesso a tutti di guadagnare: a chi guarda, che così può osservare con i suoi occhi un pezzo di storia e a noi produttori, che con i guadagni che stiamo ottenendo non siamo stati costretti a relegare i nostri progetti al girone dell’inferno dei passatempo, che nel mio caso avrebbe significato salvare 5 film all’anno anziché 400.

    In Italia, in certi ambienti, il denaro è lo sterco del diavolo. Questo presupposto ha portato lo Stato a diventare il protagonista finanziario del mondo della cultura. Il problema è che la selezione dei soggetti su cui investire non può essere affrontata accontentando tutti. L’obiettività nel valutare se sia opportuno finanziare quella sceneggiatura, fare una certa mostra o rifare l’Ara Pacis esiste solo in quelli che pretendono di essere i depositari della conoscenza, categoria che dalle nostre parti per altro non manca.

    Nel momento in cui agli spin doctor dei partiti si sostituisce il business, la quantità di problemi che si risolvono è di gran lunga superiore a quella che si crea che, sono il primo ad ammetterlo, purtroppo è un dato di fatto, ma è il male minore visto il modo approssimativo in cui si muove lo Stato.

    In questo presupposto, dall’esperienza del mio canale Youtube, ho creato un sito, il cui unico scopo, non me ne vergognerò mai a dirlo, è fare più soldi possibili. Quel denaro finanzierà i prossimi film che acquisterò, uno scanner di qualità ancora maggiore o il tempo che mi serve per imparare tecniche di restauro più efficaci per consegnare al mondo ancora più storia.

    Nel mettere in piedi un progetto in questo modo, il proprietario della collezione di Vivian Maier mi ha insegnato un sacco di cose.

    Daniele Carrer

    Daniele Carrer di fronte al suo scanner per il telecinema e al computer durante la fase di restauro dei film

    Chiunque sia interessato a giungere ad un accordo per distribuire la sua collezione di bobine 8 o 16 mm, o a digitalizzare i suoi film (8 mm, super 8 e 16 mm – muti o sonori) con il telecinema del mio laboratorio, può contattarmi usando il modulo qui sotto:

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      Come ho costruito il mio impero degli home movies 8 mm

      Nel 2013 ho iniziato ad acquistare home movies 8 mm e 16 mm su Ebay. Da quel momento in poi la mia collezione è cresciuta sempre più, ma la vera svolta è stata quando, sfruttando un sistema di acquisizione professionale che mi sono creato, ho iniziato a mettere a disposizione quei film delle produzioni di documentari, prima attraverso i microstock, agenzie specializzate che vendono video su internet sotto forma di spezzoni di pochi secondi, poi da solo, tramite un sito che ho creato.

      A qualche anno di distanza sono diventato uno dei più grandi fornitori al mondo di footage d’archivio. Ho:

      • clienti in 5 continenti,
      • un canale Youtube con centinaia di migliaia di visualizzazioni al mese

      e ho salvato la storia immortalata su film che altrimenti sarebbero andati persi o, cambierebbe poco, sarebbero stati sepolti nella collezione privata di qualche amante del genere che si guarda bene dal fare vedere agli altri quelli che in lingua inglese si chiamano home movies.

      Come questo qui sotto, girato durante la guerra da un turista tedesco a Milano nel 1941:

      Cosa sono gli home movies

      Per home movies si possono intendere tante cose, compresi i film che escono al cinema e vengono registrati su un supporto per essere resi disponibili al pubblico in ambito casalingo.

      In quel settore la tecnologia si è molto evoluta nel tempo, tanto che fino agli anni 80 quei film si registravano su pellicola, prima 8 mm e dagli anni 70 in poi super 8. Poi si è (sciaguratamente) passati al VHS, poi al DVD e infine al Blue Ray, che è il primo supporto compatibile con la risoluzione 4k e verosimilmente l’ultimo supporto fisico che verrà utilizzato, visto l’avvento dello streaming video, ovvero della possibilità di vedere i film tramite dei servizi, gratuiti o a pagamento, erogati tramite internet.

      Nel mio caso però, per home movies si intendono dei film amatoriali, girati quindi da registi non professionisti, che hanno immortalato la loro storia personale dagli anni 30 ai primi anni 90 del novecento. In particolare la mia collezione, più che su filmati di eventi privati, è incentrata su quella categoria di home movies che riguarda il viaggio, soprattuto nelle grandi città del mondo.

      Come questo qui sotto che ho salvato grazie a un amico collezionista e che è stato girato da un turista italiano a New York nel 1970:

      La mia intervista

      Visto il valore storico del progetto che ho messo in piedi, il successo del mio canale YouTube e il crescente utilizzo dei contenuti che ho restaurato in produzione pluripremiate, ho iniziato a destare un certo interesse.

      Il vantaggio di internet è che è un mezzo talmente potente, che quando crei qualcosa di valore e sai promuoverlo nel modo giusto (in questo senso YouTube è un mezzo straordinario), le occasioni ti arrivano in continuazione e, in un certo senso, la tua bravura deve essere addirittura quella di rifiutare quelle sbagliate, anziché quella di cercare quelle giuste come sarebbe avvenuto se il mio progetto fosse nato fuori dal web.

      Una start up con base a Parigi, che si chiama Archive Valley, che aveva come scopo il mettere in contatto le produzioni documentaristiche con i fornitori di contenuto, un giorno mi chiese un’intervista che poi intitolò, riempiendomi di fierezza per il chiaro riferimento alla mia italianità:

      Come creare un impero di film amatoriali (home movies)

      Copertina dell'intervista a Daniele Carrer: how to build a home movies empire

      Mi permetto di raccontare un po’ dei dietro le quinte di queste situazioni, conscio che chi legge difficilmente in vita sua ha rilasciato un’intervista.

      Essendo un contenuto scritto e non video o sonoro, l’intervistatore manda le domande via mail, ovviamente in inglese visto che è la lingua del mondo globalizzato. Io, parlandolo sufficientemente bene, in quei casi rispondo senza chiedere aiuto ad un traduttore. Alla fine però faccio fare da un professionista che trovo su Fiverr quello che viene definito proofread, ovvero il controllo del testo da una persona madrelingua.

      Il retroscena

      Al di là delle procedure, c’è però un retroscena dell’intervista che è interessante raccontare per capire il mondo dell’informazione. Loro mi conoscevano per il successo del mio canale YouTube, e probabilmente, visto il tema a sfondo culturale del business che avevo messo in piedi, pensavano che fossi la classica persona che la pensa in un certo modo e, con fare democristiano, non andassi all’attacco.

      In realtà si sbagliavano. Nella lista c’era una domanda che citava un Festival Italiano che io conoscevo solo di nome. Nel nominarlo fecero la classica manfrina sul fermento artistico, il coinvolgimento della gente e tutte le cose possibili e immaginabili che, sapete anche voi, si fanno in questi casi, quasi aspettandosi una sviolinata confermatoria da parte mia.

      Avendo un passato da regista di cortometraggi politicamente scorretti (lo potete apprezzare nel mio sito personale) e sapendo come girano le cose negli ambienti dei festival, in realtà nel rispondere, scusate il paragone, andai giù con la mannaia, perché se mi fosse piaciuto leccare i piedi alle persone allora me ne sarei stato a lavorare in televisione, dove ci sono i gruppetti di adulatori che gravitano intorno ai capoccia di turno.

      Dissi una cosa del tipo:

      Secondo me i Festival, da quando è nato Youtube, sono inutili. Un festival costa allo Stato almeno 500 mila euro e ci vanno al massimo 10 mila persone.

      Io con 10 mila euro mi sono pagato da solo una collezione che 10 mila visualizzazioni le fa in mezza giornata e ne genererà milioni finché Youtube esisterà, non solo per i 3 giorni che dura la manifestazione.

      La censura

      Sapete cosa hanno scritto loro?

      Non hanno scritto niente ovviamente, perché hanno censurato la risposta.

      Sottolineo: si trattava di un’intervista scritta, non in audio o in video, quindi non aveva dei tempi entro cui dover stare, quindi il taglio non era una questione di formato, ma di contenuto.

      Questo per dirvi come funziona l’informazione e quanto felice io sia di aver costruito un progetto business che grazie a YouTube si rivolge direttamente alla gente senza il bisogno di vetrine gestite dal gruppetto di intellettuali di turno che, nel decidere la linea editoriale di quello su cui mettono le mani, è più intollerante di un gatto all’acqua.

      Nel caso citato si trattava di una cosa piccola piccola, ma su questioni più grandi provate ad immaginare cosa succede quando le decisioni vengono prese solo in base alla volontà di una giuria o di chi si arroga il diritto di rappresentare la cultura.

      Daniele Carrer

      Daniele Carrer di fronte al suo scanner per il telecinema e al computer durante la fase di restauro dei film

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